Riflettevo sul fatto che spesso disagi di natura psicologica trovano terreno fertile in aiuti differenti dall’aiuto psicologico e dalla psicoterapia, in quanto aiuti più “accessibili”, meno stigmatizzanti e che permettono di percepire un maggior controllo sul proprio malessere e una focalizzazione esterna rispetto a sè.
Si va in erboristeria perché si è insonni, si rivolgono preghiere perché si risolva una situazione difficile, si indaga il futuro, si chiedono consulenze brevi a varie figure, dal maestro di yoga al counselor, e così via.
Alcuni dei più comuni luoghi comuni su percorsi psicologici e nello specifico di psicoterapia in effetti possono spaventare o creare diffidenza che rende più ardua l’attivazione della richiesta.
Oggi ne cito e provo a rispondere ad alcuni tra i più popolari:
Lunga durata
in parte è vero, un percorso terapeutico non si dice concluso con l’estinzione di un sintomo; si tratta appunto di un percorso mirato a comprendere ma anche a sperimentare poi.
Partendo dal presupposto che i disturbi non sono frutto di “errori”, ma ci vengono in aiuto per tenere in piedi qualcosa di molto importante per noi, non basta “abbattere” i sintomi, non basta “eliminare” il disturbo, poiché questo ci metterebbe nella condizione di dover cercare un altro modo per tenere in piedi quel qualcosa, o, in alternativa ci metterebbe davanti a un possibile futuro crollo.
In terapia si puntella e si cercano modi alternativi: si individuano e si sperimentano, con le imbracature di protezione massima all’inizio, si osserva la sperimentazione, si modifica qualcosa, si riprova, si ragiona sui risultati.
Dopo aver fatto spazio, alleggerendo il sintomo delle sue funzioni portanti, non si è pronti a farne a meno, in mancanza di alternative e le alternative che si individueranno andranno testate, validate, rese stabili se funzionano. A quel punto si chiude un ciclo di terapia.
Sì, può volerci un anno o due, o forse anche tre. Quando tempo ci è voluto prima di arrivare al sintomo che ci fa prendere atto che qualcosa non è in equilibrio nel nostro sistema? Forse un anno, forse due o tre, o forse decenni di piccole e impercettibili manovre
Non è il tempo che fa star bene: certo è opportuno non aver attese miracolose, ma quello che fa la differenza è lo sguardo, uno sguardo che, a un certo punto, quando è pronto, all’interno della relazione terapeutica, comincerà a contemplare altre prospettive: uno sguardo che ci permetta di identificarci anche con qualcosa altro rispetto a ciò con cui ci siamo identificati fino ad allora, sarà uno sguardo che apre l’accesso a nuovi scenari.
“Parlerò dell’infanzia e del mio problema”
in terapia non si parla del passato, si parla di sé e di sé in relazione.
Questo può richiamare un episodio a partire dal quale abbiamo sentito che qualcosa è cambiato, che qualcosa di diverso abbiamo cominciato a pensare su di noi e sugli altri, potrebbe essere utile ricostruire da dove nasce una certa aspettativa, ma la terapia non è il luogo dove si ripercorre il passato, la fanciullezza, si analizzano i genitori e così via.
Non si parla nemmeno necessariamente dei problemi, in quanto ciò che sentiamo spesso come problema è su un piano di consapevolezza tale per cui, muovendovisi all’interno difficilmente si può trovare una soluzione.
Si trascende il problema, affrontandone piuttosto le implicazioni e costruendo che senso abbia da un punto di vista relazionale, aspetti che spesso sono a un bassissimo livello di consapevolezza.
“Devo capire il perché e guarire”
in psicoterapia, a differenza delle terapie di modello medico, non si mira a ripristinare lo stato precedente all’insorgere del sintomo o del malessere. Come asserito dal principio di Heisemberg, non è possibile osservare una realtà senza che l’osservazione stessa contribuisca a modificarla, dunque non ha molto senso parlare di guarigione, intesa come ripristino di uno stato o eliminazione di cause. In psicoterapia si costruiscono alternative e ci si prende cura di ciò che già c’è.
La psicoterapia non cura un disturbo, ma comprende la persona come sistema e contribuisce a promuovere una elaborazione del sistema, un ampliamento, un aggiornamento, che consenta di far fronte al presente, che consenta cioè di vivere una vita di qualità in cui sentirsi protagonista.
“Seguirò i consigli”
non si ricevono consigli, non esistono pacchetti che vadano bene a prescindere.
Andare in psicoterapia non dovrebbe essere come andare in una catena di abbigliamento in cerca del proprio abito, piuttosto andare in una sartoria e imparare a essere stilista, scegliere tessuti, cuciture, stili, apportare modifiche in corso d’opera, confezionare insieme al terapeuta un abito che consenta di sentirsi comodi e vestiti allo stesso tempo e che consenta di vivere e sentirsi vivere.
E anche
no, non serve necessariamente un lettino
no, non si parla necessariamente di sogni
no, non verrà interpretato tutto di voi
no, non necessariamente ci si rilassa con tecniche immaginative.
3 Comments
Molto bello! Si può condividere?
Certo, con piacere.
[…] nascano da azioni, vissuti e interpretazioni del mondo fatte dalle persone. Non calate dal cielo. Per lo stesso principio ci tengo che le soluzioni e le svolte vengano elaborate e costruite passo passo, con la mia […]