La supercazzola del bisogno di accettare il proprio corpo

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La supercazzola del bisogno di accettare il proprio corpo

accettare il proprio corpo

Nell’ultima Lettera Alternativa ho introdotto la tematica sempreverde dell’accettare il proprio corpo e ho proprio detto che questa storia è una supercazzola (ho detto esattamente così! se non hai letto la lettera… bhe molto male! se non sei iscritta, malissimo davvero! ma ok, giusto perché tengo molto a questo tema, sbircia qui di cosa sto parlando)

 

In prossimità dell’estate il topic diventa più caldo, ma la convinzione che accettare il proprio corpo sia cosa buona e giusta e ci salvi dall’infelicità è davvero un’idea sempreverde e di moda.

Le interpretazioni pseudo-psicologiche si sprecano in questo ambito. Tutte diventiamo guru dell’autostima e dispensiamo consigli alle amiche, o ce li sentiamo dispensare, su quanto è utile e si dovrebbe lavorare per accettare il proprio corpo.

Io però credo che, come in ogni cosa, dovremmo andare un pochino oltre le ovvietà e guardare la faccenda da una prospettiva alternativa (ça va sans dire).

 

La faccenda 

 

Cominciamo col dire che la faccenda in questione è il disagio e la disapprovazione che provi guardandoti allo specchio.

Parliamo della sensazione di inadeguatezza che provi osservando la tua fisicità, altrimenti nota come bassa autostima/sentirsi brutte/vergognarsi di parti del proprio corpo/sentirsi peggiori delle altre per qualche parte della propria fisicità o anche per la propria fisicità nel complesso.

Questo crea addirittura un sistema di allerta, per cui, da un lato vuoi minimizzare quella parte ma, al contrario, tu per prima diventi  iper attenta e concentrata proprio su quegli aspetti che di te non ti piacciono. O meglio, sugli aspetti che ritieni siano poco apprezzabili.

Sì, perché il punto è questo: inutile nasconderti dietro l’idea che magari si tratta solo della tua di accettazione. Di fatto, ogni volta che senti di avere un problema col tuo corpo, in fondo in fondo, c’è l’idea, più o meno consapevole, che quella parte del tuo corpo non è piacevole agli occhi di qualcun altro. Inutile nascondersi dietro un dito, è così.

Poi certo, se quella parte piace a te, te ne freghi di cosa pensano gli altri, ma qualcosa di te ti piace perché senti, inconsapevolmente, che è in armonia con tutto il resto. E non sto parlando di armonia estetica, ma del modo in cui quel determinato tratto fisico impatta nelle tua vita relazionale, passata, attuale e potenziale.

 

Le relazioni c’entrano sempre

 

Il disagio e la conseguente idea che il problema sia dover accettare il proprio corpo nascono infatti da un confronto che fai tra te e qualcun altro, reale o immaginario, noto o ideale.

 

Il confronto però è un’arma a doppio taglio.

 

Nella Lettera Alternativa ho scritto che ci sono limiti del nostro corpo che però nessuno si sogna di trasformare in motivo di vergogna, disagio o anche solo di viverli come limiti. Eppure lo sono. Ma anche limiti grossi e realmente invalidanti!

Andiamo, non crederai che il corpo umano sia il massimo della perfezione?!

Ha tutto quello che serve, eppure quanto potrebbero servirci che ne so… le branchie! Se solo le avessimo. Pensa a quanto sia invalidante non poter sopravvivere sott’acqua. Potrebbe essere quasi una disabilità. Condivisa, su ampissima scala (cioè dal 100% dei nostri simili), ma pur sempre un deficit.

E quindi? Ci stiamo accontentando di vivere sulla terra e non sott’acqua?

Stiamo accettando che non saremo mai in grado di vivere in una grotta marina nell’oceano?

Non so tu, io non mi pongo il problema. Trovo sia un dato oggettivo, una caratteristica del mio corpo e me lo vivo così. Non mi soffermo sul limite, che pure è oggettivo e innegabile.

 

Quello che ti frega è il confronto usato impropriamente

 

Allora fatti una domanda: ti confronti per emettere giudizi, su te e sulle altre persone, o ti confronti per prendere spunto?

 

Quando segui la prima opzione stai male o rischi di far star male qualcuno. Insomma indìci un bando di gara e c’è per forza qualcuno che vince e qualcuno che perde.

Quando segui la seconda opzione, ti avvicini a Leonardo da Vinci!
Proprio lui, hai capito bene!

Hai presente la sua curiosità per il volo degli uccelli e la sua voglia di rendere il volo possibile anche per gli uomini?

Leonardo non considerava la mancanza di ali come un deficit, ma ammirava le potenzialità di queste componenti anatomiche e da questa ammirazione trasse il meglio.
Trovò il modo per farci spuntare le ali come agli uccelli? No, noi non siamo uccelli e non è utile a nessuno provare a essere qualcuno che non sei!

Piuttosto ispirati e prova ad ampliare le tue possibilità, prendi spunto e poi però traduci e declina nel tuo modo e nel tuo mondo, ciò che ti ha ispirato.

 

Non devi essere la copia di nessuno, non devi accettare di essere te stessa.

 

Semplicemente devi capirti e conoscerti di più.
Comprendi la storia che il tuo corpo racconta, coltiva consapevolezza dentro e fuori di te, su chi sei e su chi vuoi poter ancora essere.

Io non lavoro con le mie clienti perché possano accettare il proprio corpo o parti di sé stesse. Io ti aiuto a conoscerle quelle parti e capirle, ma sul serio. Le parti che ami e quelle che disprezzi, quelle che conosci o credidi conoscere e quelle che non hai mai visto.

 

Se hai un problema con il tuo corpo o con qualche parte di te che trovi difficile da accettare, inizia una terapia, ma per conoscerti, per capire il senso e il valore di quelle parti. Nulla è superfluo, nulla è sbagliato.

 

 


E se davvero non avevi letto la Lettera Alternativa perché non sei ancora iscritta devi assolutamente rimediare 

 

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Dr.ssa Veronica Mormina Psicologa
Dr.ssa Veronica Mormina Psicologa
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